“Ippolitu” di Euripide

Traslazione in lingua siciliana di Alessio Patti

Prefazione di Giovanni Vecchio

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Prefazione

Le passioni umane e il fatalismo nell’“Ippolito” di Euripide,
magistralmente traslati in lingua siciliana.

Alessio Patti, un vero maestro della lingua siciliana, dopo essersi cimentato con la traslazione nell’idioma siculo di grandi capolavori della letteratura classica e contemporanea, prosegue il suo itinerario con la tragedia greca “Ippolito” di Euripide. La scelta di Patti, a mio parere, non è affatto casuale perché in quest’opera, come è proprio della tragedia, viene presentato con toni molto accentuati, il contrasto tra castità ed erotismo, che rimandano alla ricerca di un equilibrio che riesca a conciliare nella vita dell’uomo e della donna le istanze razionali e quelle emotive. Dimensioni della vita presenti negli esseri umani in ogni epoca, in Euripide certamente inserite nella società aristocratica del V secolo a.C., che ne alimenta gli elementi ideologici e socio-culturali e ci fa conoscere, meglio che nelle opere dei grandi pensatori greci, il contesto di vita e il vissuto interiore dei protagonisti .Euripide vuole con la figura di Ippolito, figlio illegittimo dell’eroe Teseo, anche lui di origine non illustre, riscattare i figli illegittimi, molto frequenti nella società maschilista dell’epoca, che venivano considerati inferiori rispetto a quelli legittimi, volendo pertanto dare loro dignità umana e diritti. Questi ultimi, a prescindere dall’origine sociale, possono incarnare – sostiene Euripide – i valori dell’onestà e della sincerità. Nella tragedia euripidea i personaggi del padre e del figlio seguono percorsi di riscatto diversi. Teseo era riuscito a riscattarsi da una vita difficile attraverso la forza d’animo, mentre il figlio Ippolito rifugge dal mondo del padre fatto di potere e di libertinismo rifugiandosi nel mondo della natura e rifuggendo volutamente dai rapporti con l’altro sesso. In questo rapporto si inserisce Fedra, la seconda moglie di Teseo e matrigna di Ippolito, che si invaghisce perdutamente del figliastro e se ne muore fino a giungere al gesto estremo del suicidio, la cui causa fa ricadere ingiustamente su Ippolito che accusa in una lettera di averla violentata provocando così l’ira di Teseo, che condanna il figlio all’esilio non volendo ascoltare ragioni. Qui nella tragedia si inserisce il ruolo degli dei, sempre in contrasto tra di loro: mentre Afrodite non sopporta la decisa rinuncia di Ippolito alla relazione sessuale considerandola come un’offesa, Artemide apprezza la vita naturale distante dalla politica e dai piaceri facili. L’intervento delle figure divine viene inteso come influsso irresistibile per gli esseri umani che ne vengono dominati .La tragicità delle vicende non passa attraverso la coscienza individuale dei protagonisti ed Euripide mette in luce il disagio della fatalità che incombe sui viventi e il bisogno di di attingere ad una giustizia superiore che vada oltre ogni interesse, vizio o limitazione. La mentalità greca, come peraltro quella romana, non avevano una concezione profonda della libertà di coscienza che si affermerà soltanto più tardi con il cristianesimo. Per risolvere questi problemi Euripide si avvale di un espediente tecnico, il famoso deus ex machina, l’intervento esterno di un dio che rivela la verità. Certamente una soluzione artificiosa. E quando gli dei sono in contrasto tra di loro, soltanto Zeus, il maggiore degli dei, può riportare l’ordine e ristabilire i ruoli. Dall’opera euripidea emerge anche un interessante invito a non fidarsi delle apparenze, ad esaminare con buon discernimento tutte le informazioni liberandoci dai preconcetti, in sostanza, ad essere onesti. Questo insegnamento corrisponde allo spirito che anima Alessio Patti, che sicuramente vi si ritrova in pieno. La sottomissione ai capricci degli dei non era dunque nella società greca antica basato sull’eticità, bensì sulla paura. E di questo si servivano le classi dominanti per imporre i loro modelli comportamentali e il potere politico. Altro motivo di interesse, infine, il momento finale della tragedia con il perdono del padre da parte di Ippolito prima della sua fine e del tardivo convincimento di Teseo sulla buona fede del figlio, che inutilmente aveva tentato di difendersi dall’ingiusta accusa di aver insidiato la matrigna. Come si può notare c’è abbondante “pane per i denti” di Alessio Patti, che si “innamora” di questa tragedia e ne propone una versione in lingua siciliana rispettosa dei canoni linguistici propri dell’idioma siculo che ricorre alla dittologia per rafforzare il messaggio. Ormai la lettura di ogni traduzione che ci propone Alessio Patti ci dà conferma non solo della possibilità di esprimere valori esistenziali eterni e momenti di vita comune, ma anche della perizia straordinaria di chi si cimenta quotidianamente con l’esercizio linguistico e lo rende sempre più vicino alla sensibilità e alla cultura siciliana, pur nel profondo rispetto del testo originale. Alessio Patti ci presenta, dunque, un vero capolavoro della tragedia greca rendendolo fruibile e vicino a ciascuno di noi.

Giovanni Vecchio

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