VICULU SACRAMENTU

VICULU SACRAMENTU

Il romanzo dell’Ars Populi siciliana degli anni 1950/1970 di Alessio Patti

Prefazione a cura del Prof. Giovanni Vecchio


“Nelle case di Viculu Sacramentu nulla si compie per circostanze che non rispecchino il cuore ed il dolore della sua gente”.

Questa citazione dall’opera “Viculu Sacramentu” di Alessio Patti contiene in sé il significato ultimo e imprescindibile che l’autore si propone di trasmettere al lettore perché evidenzia il valore umano della testimonianza di un popolo (quello catanese della fine degli anni cinquanta di un quartiere sulla scogliera dal quale si accede alla “Civita”, il cuore antico in ambito urbano) che vive la quotidianità e gli eventi naturali e sociali del suo tempo (agli albori di un cambiamento ancora poco visibile nella mentalità e nei costumi) con una sua specifica capacità di agire e reagire, di trovare le soluzioni all’interno delle sue povere risorse, sempre al di fuori della città ufficiale nella quale personaggi poco credibili agli occhi della gente più semplice sembrano muoversi con interessi di potere estranei alle vere necessità delle persone comuni.
I personaggi di “Viculu Sacramentu” esprimono tutti una cultura popolare che ha accumulato sapienza nella sua marginalità; sono esseri umani che soffrono e gioiscono, vivono esperienze tragiche e talora quasi comiche, combattono per la sopravvivenza.
Estrapolando dal testo, ci sembra illuminante questa dichiarazione di uno dei personaggi: “Li siciliani non su’ sulu picurari chi viùlanu la liggi, ma fratuzzi! E quannu li nnuccenti sû meritanu si spartunu pani e casa”.
Certamente le prepotenze, i soprusi e le spavalderie non mancano e producono i loro effetti, ma questa povera gente gli “anticorpi” è costretta a cercarseli da sola, in una solidarietà che sorge spontanea come una sorgente di montagna, che irrora, rinfresca e rinfranca l’anima ferita. L’osservatore esterno rischia di non capire se si ferma alla superficie e, anche quando abbia svolto degli studi antropologici, fa non poca fatica ad immergersi in un mondo che ha i suoi valori di riferimento e i suoi modelli comportamentali che per i locali non hanno bisogno di interpreti e di maestri; la vita stessa vissuta in quel contesto socio-antropologico si incarica di indicare le vie risolutive nelle varie circostanze buone e cattive.
L’osservatore esterno rischia di commettere errori madornali nella sua valutazione di questa realtà brulicante di varia umanità se non è aiutato ad immergersi in essa. Così lo studioso veneziano della Sicilia, giunto a Catania, trova nell’immediata disponibilità di un povero disgraziato in procinto di farla finita, una guida illuminante per scoprire “l’altra città”, o meglio, quella vera e genuina, non quella ufficiale e da cartolina, bella e imbalsamata nei suoi monumenti e rappresentata da uomini di altra classe sociale che si ricorda dei “sacramentoti” solo quando si approssimano le elezioni e parla in genere un linguaggio estraneo, che non riesce ad essere convincente per la gente comune.
Quella di “Viculu Sacramentu” è “gran cultura popolare”, non contenuta nei libri di scuola né trasmessa da una cattedra universitaria, è autentica cultura perché intessuta di esperienza di vita, di elementi autoregolanti che consentono di affrontare con decisione gli scompensi inevitabili, che sa capire le sofferenze, che (a parte i casi di “maffia”), aiuta chi ha veramente bisogno senza risparmiarsi pur nella povertà e talora nella miseria, che rispetta il dolore degli altri e salvaguarda l’innocenza dei piccoli. Questo popolo non ama la chiesa ufficiale, ma i pastori che sanno rinunciare al loro “status” e agli onori gerarchici per accogliere e confortare gli umili e i sofferenti, rispetta il dolore e i lutti del vicino, sa offrire quel poco che ha e aiuta chi ha bisogno finché può farlo. Il mio amico Danilo Dolci, che condivise la miseria del popolo siciliano negli anni Cinquanta (lui figlio del Nord) avrebbe detto: “Se questa non è cultura, io non so cosa sia cultura” .
Alessio Patti ci presenta un racconto affascinante, una tavolozza ricca di colori dai toni e dalle sfumature diverse; egli riesce a fondere in un unicum la lingua italiana narrante con i monologhi e i dialoghi in lingua siciliana dei personaggi che si muovono in quel mondo di vizi e virtù, di furberie o prepotenze, ma anche di buon cuore e calore umano. Questo modello letterario dell’autore, a nostro parere, diventa innovativo e supera il modello verghiano della trascrizione letterale della parlata siciliana in italiano. L’italiano mantiene la dignità che gli spetta assieme alle sue regole espressive e sintattiche nella narrazione “ufficiale”, il linguaggio dei personaggi è, invece, quello della lingua di tutti i giorni, scoppiettante di colori e sapori, di allusioni e massime proverbiali, di immediata fruizione senza artifizi; anche quando ci si confronta con tenzoni poetiche in dialetto, chi scrive i versi usa il medesimo linguaggio dei suoi ascoltatori e “giudici”, che sanno distinguere il messaggio sincero da quello artefatto o “estraneo”.
La lettura dell’opera di Patti, pur nella forma narrativa, è autentica poesia, come poeta è essenzialmente l’autore. Nonostante l’apparente realismo di vicende e personaggi e del linguaggio, non si tratta di “oggettiva” descrizione della vita di un quartiere, non è un trattato di sociologia o antropologia culturale, è di più perché concilia il verosimile con il desiderio di effondere nel testo l’animus del popolo rivissuto nell’interiorità dello scrittore-poeta. È altresì poesia che si traduce in drammaturgia da intendere come “celebrazione” emblematica di una condizione sociale ed esistenziale, che al di là dei singoli “quadri” locali assurge alla dimensione universale dell’uomo in sé, che vive emozioni e sentimenti, ama e odia, s’illude e si pente: c’è un’umanità che affronta la vita e la morte, che s’incontra e si scontra, esperimenta il maschile e il femminile, che vede frustrato quasi sempre il suo bisogno di amore e tenerezza.
Ci piace la parte conclusiva dell’opera nella quale vince l’amore, che era considerato impossibile, una vera pazzia!
Alessio Patti ci consegna, dunque, una creazione esteticamente valida e una testimonianza spirituale, che – ne siamo certi – lasceranno il segno nel panorama letterario del nostro tempo.

Prof. Giovanni Vecchio